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CRONACHE dalla TERRA DI MEZZO > Anno 2023
Rientro dalle vacanze: origini del disagio
Premessa
Da cittadina milanese, ho sempre considerato le vacanze come il momento ideale per staccare, fare vuoto e ritrovare un po' me stessa, arricchendo con nuovi input e consapevolezze il mio essere terapeuta. Per questo, al loro termine, ero solita attribuire la lentezza nella ripresa della routine più che altro ad una deplorevole e nostalgica malavoglia nell’interrompere, proprio sul più bello, il progredire di nuove acquisizioni nelle quali, si sa, “una cosa tira l’altra”.
Mai come quest’anno avevo invece considerato quanto tale disagio si radicasse in ambiti ben diversi…
Svolgimento
Ebbene sì, me la son proprio goduta! E non solo per le bellissime escursioni portate a termine, ma anche grazie alle stimolanti letture nelle quali mi sono “immersa”, prendendo il sole in terrazzo. Certo, qualche terapia a distanza, più che altro per le emergenze, continuavo a svolgerla, ma non era certo un peso, essendo in tali circostanze le mie facoltà quasi potenziate.
Fatto sta che, come sempre, dopo pochi giorni dal rientro, nonostante l’accortezza di “averla presa con calma” e il rinfresco della temperatura, ero già “stesa”, senza forze e pure di malumore.
Alla prima occasione di fare il solito footing settimanale, più che correre mi sembrava di nuotare in un ambiente estremamente denso, in cui avvertivo l’innalzarsi dai marciapiedi di esalazioni sgradevolissime provenienti da scarti umani e animali, insieme alla pesantezza emanata dall’aura delle persone che incrociavo lungo il percorso; una grossolanità cui non ero più abituata da oltre un mese. Altrettanto sgradevolmente il mio sudore puzzava, restituendomi “in uscita”, in termini olfattivi, ciò che non riuscivo a tradurre come modalità sensoriale “in entrata” (il sesto senso non ha codifiche in 3D!); la pelle subito più spenta e ossidata; per non parlare poi dell’esplosione allergica al primo agognato assaggio, dopo tanto tempo, di due fettine di salmone affumicato biologico…
Sintetizzo le differenze energetiche (le altre sono ovvie) tra città e montagna che sono riuscita ad identificare attraverso le mie percezioni:
Qualità dell’aria: un’aria più pulita, nonostante il minor contenuto di ossigeno dovuto alla quota (1500 mt), consente una maggior disponibilità di Qi corretto, ovvero una miglior “efficienza energetica”. Il minor inquinamento non riguarda soltanto polveri e scarichi, tutto sommato facilmente identificabili e monitorabili. Esiste infatti una serie di “inquinanti sottili” ben più temibili, invisibili al pari delle onde elettromagnetiche e del 5G, il cui effetto viene amplificato dalla densità abitativa. In montagna risiedo in una casa indipendente, nessuno sopra o sotto né di fianco, salvo Natale e Ferragosto. In città abito invece nell’appartamento di un palazzo che ne ospita altri 273; ciò significa che sono perennemente esposta ai pensieri del mio vicino di casa, alla perturbazione indotta nel campo dallo sfogo di collera di “quello” del piano di sopra, per non parlare delle varie reti (a tal riguardo, il termine “rete” rappresenterebbe davvero una bella tela di ragno che ci intrappola). Tali campi circondano ogni essere vivente contenendone, oltre all’imprinting energetico del corpo fisico, tutta una serie di altri “aspetti originari”, emotivi e mentali. Dunque, in montagna sono libera da tutte le sollecitazioni che invece ricevo ogni giorno nel sovraffollato ambiente metropolitano da parte di pensieri ed emozioni altrui, anche sapientemente inducibili, manovrabili e costituenti una sorta di enormi “nuvolette”, tipo quelle dei fumetti, dette “egregore”, cui forniamo la nostra energia ogni qual volta risuoniamo con il loro tema. Sono preoccupata per la nuova forma influenzale che arriverà in autunno, o per gli aumenti delle bollette, o per la guerra? E subito mi connetto alla nuvoletta della corrispondente paura, alimentandola con la mia energia e ricevendo al contempo energia da tutti coloro che vi sono collegati, facendola crescere. E questo per ogni pensiero o emozione, che invece in montagna, salvo l’attivazione di bugs endogeni, sono molto più dipendenti da scelte e atteggiamenti miei. Facendoci caso, persino la sera, nella fase di addormentamento, potremmo cogliere il rapido succedersi di frasi o immagini in transito. Ecco dunque svelato il motivo per cui in montagna la mia mente è sgombra, pronta, reattiva e decisamente più creativa! Ed anche il perché, ogni qual volta rientro in città, negli ultimi anni, è come se percepissi, dai 30 -40 km di distanza, una enorme cappa di densità, che suscita immediatamente un senso di generico fastidio e intolleranza. circolazione del sangue in montagna è migliore non solo grazie alla più intensa e frequente attività fisica, ma anche perché, entro certi limiti di quota, l’aumento della percentuale di ossigeno libero nel sangue (in MTC si parla di Tian Qi,) compensa e supera le conseguenze del calo della sua pressione parziale. In altri termini, sarebbe proprio la quota di ossigeno libero presente nel sangue a creare una sorta di microvortici ad effetto propulsivo, mentre quello legato all’emoglobina sarebbe destinato a ruoli metabolici nei tessuti (vedi il testo Nutrire le Vita, pag 113, e https://www.unipa.it/scuole/scienzegiur.ecosociali/content/documenti/2015-03-04-Campus-Vivi-la-montagna-slide-effetti-altitudine.pdf ). Del resto, non a caso i sanatori si costruivano in montagna… In montagna, per lo meno entro quote medie, il cervello potrebbe essere effettivamente meglio ossigenato rispetto alla città.
Sienzio: l’inquinamento acustico cittadino (clacson, sirene, traffico, ecc), mal tollerato dai nostri corpi astrali, genera irritabilità e depressione immunitaria (nella mia esperienza, un fattore predisponente per il Covid erano frustrazione e collericità!)
Qualità e conseguente quantità dell’acqua assunta: dalla leggerezza dell’acqua del rubinetto di montagna alla pesantezza di quella in bottiglia – di plastica- del supermercato, c’è un vero e proprio abisso. In città finisco per bere prevalentemente acqua calda sfruttando l’azione del filtro della caldaia, ma non è gradevole e ci mette troppo a scaldarsi. Finisce così che in montagna bevo più regolarmente, per cui il corpo è più idratato e meglio drenato dalle scorie, anche grazie alla più frequente sudorazione durante le escursioni.
Ritmi: in montagna ritrovo spontaneamente e seguo più facilmente il mio fisiologico ritmo sonno-veglia.
Cibo: per cinque settimane ho goduto di verdure (in quantità adeguata rispetto alla mia capacità di sostenerne il metabolismo!) a km zero o quasi, biologiche o comunque dell’ortolano (niente verdure confezionate!); non ho mangiato pesce fresco, ma solo in scatola (che paradossalmente è risultato affatto allergenico); la poca carne consumata era del macellaio, avendo anche avuto occasione di sperimentare l’eccezionale sapore di quella proveniente da animali al pascolo. Disponendo di verdure sane, ho smesso di utilizzare condimenti, consumandole crude senza aggiunte e riscoprendo sapori eccezionali. Da questa esperienza, ritengo che probabilmente la nostra abitudine di condire sia ascrivibile, oltre alla scarsa qualità degli alimenti, alla loro-e nostra- densità: siamo talmente immersi nella materia, che ci siamo desensibilizzati a percepire energie fini e sottili quali sono i sapori. E più condiamo, più ci desensibilizziamo, un po' come per l’uso del glutammato.
Conclusioni
A fine settembre, ritornando a Cogne dopo quasi un mese, già in autostrada, da Novara in poi, l’atmosfera pareva surreale, forse per i contorni nitidi nonostante il cielo velato, o forse per il semplice allontanarmi dalla città. Mi sembrava di essere contemporaneamente dentro e fuori il corpo fisico che stava osservando quel paesaggio. Stavo ritrovando un qualcosa che impercettibilmente si era fatto strada durante l’estate, cui mi ero progressivamente abituata, e che la densità della condizione cittadina aveva riconfinato ai limiti delle mie capacità di sostenere. Anche in paese la sensazione era davvero strana; tutto era insolitamente silenzioso, dalle persone che parlavano sedute ai tavoli fuori dai bar, alla macchina che asfaltava la strada principale; mi pareva mancasse qualcosa, un rumore di fondo determinato non tanto da suoni udibili, quanto dalle profonde influenze che sui nostri corpi sottili hanno tutti quei suoni sotto la soglia di percezione uditiva: le frequenze dei campi elettromagnetici, di tutti i cellulari che squillano, di tutte le parole inutilmente dette o pensate, di tutti i sentimenti e moti dell’animo…
Non l’avevo proprio mai percepito in modo così fisicamente nitido: le difficoltà a riprendere la “normale” routine non sono depressione, ma un vero e proprio affaticamento determinato da carenza di nutrimento e intossicazioni. L’umore cala perché siamo stanchi! In termini di MTC viene meno il Qi corretto; il Polmone, Maestro del Qi, va in sofferenza, e il Fegato ristagna, con un meccanismo paradossalmente analogo proprio a quello che si verifica in alta quota, dove ogni minima attività costa ai non avvezzi una gran fatica.
L’intento di queste parole è semplicemente condividere una personale presa di coscienza settembrina, resa possibile dall’aver aperto, con curiosità e senza pregiudizi, una piccola finestra sul lato invisibile delle cose (vedi Il lato invisibile delle cose, C.W. Leadbeater, Macro Edizioni); un lato che potrebbe contare ben più di quello visibile e “scientificamente” dimostrabile.
Potrebbe dunque essere opportuno e utile porre sempre più attenzione, rapportandola poi ciascuno alle proprie conoscenze e competenze, a quanto percepiamo a livello sottile. Probabilmente ci stupiremo di come, il più delle volte, quelle che a prima vista sembrerebbero vaghe impressioni o irrisorie eccentricità si rivelino invece, analogamente ai tanto inizialmente irrisi lapsus freudiani, preziosi elementi del linguaggio con cui i nostri corpi cercano di parlarci, aiutandoci ad identificare con precisione i fattori che ci fanno perdere energie, centratura e presenza nel qui ed ora.
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